“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Soltanto la contemplazione può semplificare la nostra preghiera per arrivare a constatare la profondità della scena e del segno che ci è dato. Una mangiatoia, un bambino, Maria in contemplazione, Giuseppe meditabondo: “Veramente tu sei un Dio misterioso!”. Il Padre, il solo che conosce il Figlio, ci conceda di riconoscerlo affinché l’amiamo e lo imitiamo. Nessun apparato esteriore, nessuna considerazione, nel villaggio tutto è indifferente. Solo alcuni pastori, degli emarginati dalla società... E tutto questo è voluto: “Egli ha scelto la povertà, la nudità. Ha disprezzato la considerazione degli uomini, quella che proviene dalla ricchezza, dallo splendore, dalla condizione sociale”. Nessun apparato, nessuno splendore esteriore. Eppure egli è il Verbo che si è fatto carne, la luce rivestita di un corpo. Egli si trova nel mondo che egli stesso continuamente crea, ma vi è nascosto. Perché vuole apparirci solo di nascosto? Egli fino ad allora era, secondo l’espressione di Nicolas Cabasilas, un re in esilio, uno straniero senza città, ed eccolo che fa ritorno alla sua dimora. Perché la terra, prima di essere la terra degli uomini, è la terra di Dio. E, ritornando, ritrova questa terra creata da lui e per lui. “Dio si è fatto portatore di carne perché l’uomo possa divenire portatore di Spirito” (Atanasio di Alessandria). “Il suo amore per me ha umiliato la sua grandezza. Si è fatto simile a me perché io lo accolga. Si è fatto simile a me perché io lo rivesta” (Cantico di Salomone). Per capire, io devo ascoltare lui che mi dice: “Per toccarmi, lasciate i vostri bisturi... Per vedermi, lasciate i vostri sistemi di televisione... Per sentire le pulsazioni del divino nel mondo, non prendete strumenti di precisione... Per leggere le Scritture, lasciate la critica... Per gustarmi, lasciate la vostra sensibilità...” (Pierre Mounier). Ma credete e adorate. _______________________________________ A queste parole allego semplicemente il mio augurio di vivere secondo la via di Gesù... è quella che porta alla gioia vera, senza fine! Chiara
venerdì 25 dicembre 2009
buon Natale
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lunedì 21 dicembre 2009
...unintended... (by Muse)
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sabato 28 novembre 2009
le due domande
Lectio di monsignor Andrea Bruno Mazzoccato, su Mt 28, 5-10. 16-20.
Ma l'angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
La riflessione parte dalle ultime parole di Gesù: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Gesù ci sta dicendo di essere con noi adesso, ma come facciamo a capirlo? Un primo segno è la presenza del Vescovo qui: perché nella firma del Papa, c'è anche quella di Gesù, che manda qui un suo rappresentante. Un segno ancora più grande è la sua presenza concreta nell'Eucarestia. Gesù vivo, che si offre per noi! E' presente!
La sua notizia è stata affidata alle donne, che portano il messaggio agli aspostoli, pieni di paura. Gli apostoli poi arrivano al monte, dove c'è Gesù: tutti si riuniscono. E questo ci fa riflettere sul motivo per cui siamo qui, stasera.
Una riflessione che è guidata da due domande; la prima è perché sono qui stasera (cioè, per quale motivo sono partito da casa)? Nel Vangelo troviamo una possibile risposta: le donne partono ognuna dalla propria casa, di notte, si incontrano per strada e assieme vanno da Gesù. Qual è il motivo che le spinge a uscire da sole, in un momento anche pericoloso della giornata? Deve essere certamente un grande desiderio che anima il loro cuore, e infatti loro vanno là per vedere Gesù.
La seconda domanda è: qual è il più grande desiderio che ho in questo momento?
Riflettendo su queste domande, preghiamo infine anche per gli altri, e presentiamo questa nostra personale preghiera a Gesù: così riviviamo quello che gli apostoli hanno vissuto sul monte, è questo l'appuntamento che Gesù ha dato a noi per stasera!
Un ultimo augurio e pensiero ci viene rivolto dal Vescovo...
Ti dice Gesù: "Trova ogni giorno un angolo del tuo cuore per me e ti sarò vicino; un angolo del tuo cuore per una persona che ha bisogno e ti donerà un sorriso. Così sarai felice".
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giovedì 26 novembre 2009
il dialogo by Chiara Lubich
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domenica 22 novembre 2009
essere ciechi e ritrovare una direzione
Come ci insegna la vicenda di Saulo, giovane uomo rampante in società, la cecità non è solamente uno stato di privazione fisica. Ossia, da una parte è innegabile che lo sia. Ma ce n'è un'altra, più radicata dentro molti: la cecità del cuore. Il non voler o saper vedere che c'è un qualcosa di enormemente grande che ci circonda: l'amore di Dio.
La cecità effettiva che colpisce Saulo lungo la strada verso Tarso lo destabilizza: per la prima volta un uomo intraprendente è costretto a lasciarsi condurre per mano, a farsi guidare.
Un gesto strano, dato il mondo in cui viviamo: lasciarsi guidare è inteso come una violazione della libertà personale. Chi è l'altro - si pensa - per potermi dire dove andare?
E' indispensabile un cambio di prospettiva. Io mi lascio guidare quando sento di essere cieco e non so da che parte dirigermi.
Questo atteggiamento rimanda al concetto di direzione o accompagnamento spirituale. Cos'è? E' l'affidarsi a qualcuno che come noi cerca Dio, e ci aiuta a scoprirlo vivo in noi. E' una mediazione per conoscere Dio e vivere la vita secondo la sua volontà. E' l'evitare di una fede "fai da te", che spesso porta a nostre personali e devianti interpretazioni del messaggio d'amore di Dio: vivere a modo proprio, stravolgendo un messaggio d'amore.
Chi mi guida? Non devo pensare a un superman che ha già capito tutto della fede (anzi, diffido da chi si dice tale). Lungo la mia strada troverò qualcuno che, secondo il progetto di Dio, è giusto per accompagnarmi in quel momento, ma non necessariamente per sempre! Una persona a cui mi affido, a cui racconto me in verità, e a cui obbedisco - anche se qualche volta non riesco proprio a capire perché: in una parola, mi metto in ascolto di questa persona che è una mediazione tra me e Dio.
E mi ricordo che ogni santo ha avuto una mediazione per arrivare a Dio, e che quindi non c’è niente di male! E che la direzione è una via per la vera libertà: il cammino verso la Verità!
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martedì 17 novembre 2009
preghiera...
Come mi è facile vivere con Te, Signore!
Com’è facile credere in Te!
Quando il mio intelletto confuso
si ritira o viene meno,
quando gli uomini più intelligenti
non vedono al di là di questa sera
e non sanno che fare domani,
Tu mi concedi la chiara certezza
che esisti e ti preoccupi
perché non vengano sbarrate
tutte le vie che portano al bene.
Sulla cresta della gloria terrena
io mi volto indietro stupito
a guardare la strada percorsa
dalla disperazione a questo punto
donde fu dato a me comunicare
all’Umanità un riflesso dei Tuoi raggi.
Dammi quanto m’è necessario
perché continui a rifletterli.
E per quello che non riesco a fare,
so che Tu hai destinato
altri a compierlo.
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domenica 1 novembre 2009
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sabato 31 ottobre 2009
Fidanzati, frenati, purificati - [ Il Foglio.it › La giornata ]
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giovedì 22 ottobre 2009
the book of love
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lunedì 19 ottobre 2009
un altro 11 settembre - by Renzo Martinelli
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giovedì 15 ottobre 2009
non è importante se non siamo grandi come le montagne
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giovedì 1 ottobre 2009
Dov'è Dio? by Salvatore Alletto
Dov'è Dio? Dov'è Dio quando la gente soffre? Dov'è Dio quando i bambini muoiono di fame? Dov'è Dio quando l'innocente grida per il dolore subito? Dov'è Dio nelle catastrofi naturali? Sono queste le domande che spesso rendono le nostre notti un po' movimentate, che offuscano i nostri pensieri quando facciamo esperienza del dolore del mondo, le domande a cui non sembriamo in grado di dare una risposta. Dov'è Dio? E' questo l'interrogativo che ha attraversato la mente di molti di noi in quella fredda notte di inizio aprile quando, alle 3,32, a L'Aquila e dintorni, la terra ha tremato. Dov'eri Dio? E questa domanda mi è ritornata alla mente durante questa settimana di servizio nelle zona devastate dal terremoto alla vista di gente disperata, palazzi crollati, edifici disabitati. Quasi per "caso" mi ritrovo a prestare servizio con i giovani di Legambiente impegnati nel recupero dei beni artistici e culturali nelle chiese e nei palazzi dell'aquilano. Che strano! Cosa c'entro io che di storia dell'arte e beni culturali non capisco granché? Ma è vero che non ci sono coincidenze, ma provvidenze. Così quella mattina giunto ad Onna, la domanda che mi ronzava nelle orecchie in questi ultimi giorni si fa sempre più pressante. Dov'è Dio? Dov'è? Qui ad Onna è rimasto veramente poco. Macerie e silenzio ovunque. Lì in Chiesa ci sono le ultime suppellettili da recuperare. Tiriamo fuori qualche tavolo, il confessionale, frammenti interessanti. Ma non solo. Perché mi accorgo che i Vigili del Fuoco, in quella Chiesa sventrata dalla forza del terremoto, sfidando l'altezza delle macerie cercano ancora qualcosa, direi qualcuno. Da 4 mesi e un giorno sta sepolto lì sotto le macerie: Gesù Eucarestia dentro il tabernacolo. Quasi non ci credo quando me lo dicono e spero e prego che Gesù venga ritrovato. Così quando ormai il sole sta per calare il Bobcat del vigile si arresta improvvisamente; chiamano, c'è qualcosa. E da quelle macerie fredde e informi promana un alito di vita e speranza: è il Cristo riposto in quel tabernacolo all'apparenza fragile eppure rimasto "illeso" dopo la furia del terremoto. Non credevo ai miei occhi e ringraziavo Dio di avermi fatto testimone di questo ritrovamento. Non ho neanche il tempo di gioire che nella mia mente si materializza la risposta a quella domanda che mi ha da tempo angosciato. Dov'è Dio? Adesso posso rispondere. Eccolo Dio, sepolto sotto le macerie silenziose e pesanti. Eccolo il Cristo, anche lui terremotato, condividere fino in fondo la sofferenza della gente terremotata. Quel Cristo che dopo 4 mesi esce per ultimo è il segno di speranza che tutti aspettiamo. E' il segno di un "Dio con Noi". E se pure ce ne fosse bisogno, abbiamo anche le prove in quelle macerie che forse lo hanno nascosto ai nostri occhi ma non hanno minato la sua presenza viva e vera. Adesso il suo posto diventa la tendopoli, insieme alla gente che soffre. Che il Cristo, terremotato anche lui, possa sostenere gli sforzi di rinascita della gente, possa ridonare speranza a chi ha il cuore ferito. Grazie Gesù perché sei vicino a chi soffre. Grazie Gesù perché sei terremotato anche tu.
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venerdì 25 settembre 2009
Lost! - Coldplay
Doesn't mean I'll stop
Doesn't mean I will cross
Just because I'm hurting
Doesn't mean I'm hurt
Doesn't mean I didn't get
What I deserve
No better and no worse
I just got lost
Every river that i tried to cross
Every door I ever tried was locked
Oooh and I'm just waiting 'till the shine wears off
You might be a big a big fish
In a little pond
Doesn't mean you won
Cause along will come a bigger one
You'll be lost
Every river that you try to cross
Every gun you ever held went off
Oooh and I'm just waiting 'till the fires start
Oooh and I'm just waiting 'till the shine wears off
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sabato 19 settembre 2009
bilancio dell'estate
"L'estate sta finendo e un anno se ne va.
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giovedì 17 settembre 2009
qualcuno a cui guardo come esempio!
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Etichette: Letteratura che conta, spiritualità
"Se"
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Etichette: Letteratura che conta
mercoledì 16 settembre 2009
from "lettera ai cercatori di Dio"
Amore e fallimenti
Siamo fatti per amare. L’amore dà la vita e vince la morte: “Se c’è in me una certezza incrollabile, essa è quella che un mondo che viene abbandonato dall’amore deve sprofondare nella morte, ma che là dove l’amore perdura, dove trionfa su tutto ciò che vorrebbe avvilire, la morte è definitivamente vinta” (Gabriel Marcel). Ne siamo consapevoli, anche quando le parole che pronunciamo e i fatti di cui è intessuta la nostra esistenza non sono in grado di esprimere quello che abbiamo intuito e che desideriamo. Ci fanno paura le persone aride, spente nella voglia di amare e di essere amate.
L’amore è irradiante, contagioso, origine prima e sempre nuova della vita. Per amore siamo nati. Per amore viviamo. Essere amati è gioia. Senza amore la vita resta triste e vuota.
L’amore è uscita coraggiosa da sé, per andare verso gli altri e accogliere il dono della loro diversità dal nostro io, superando nell’incontro l’incertezza della nostra identità e la solitudine delle nostre sicurezze.
Imparare ad amare
Quella dell’amore è la storia più personale della nostra esistenza. Riconosciamo i percorsi e proclamiamo gli eventi che la punteggiano. Ma ci troviamo spesso affaticati, stanchi, sollecitati a fermarci al bordo della strada a causa di delusioni e incertezze.
Riconosciamo che nella via dell’amore c’è sempre una provenienza, un’accoglienza e un avvenire. La provenienza è l’uscire da sé nella generosità del dono, per la sola gioia di amare: l’amore nasce dalla gratuità o non è. L’accoglienza è il riconoscimento grato dell’altro, la gioia e l’umiltà del lasciarsi amare. L’avvenire è il dono che si fa accoglienza e l’accoglienza che si fa dono, l’essere liberi da sé per essere uno con l’altro e nell’altro, in una comunione reciproca e aperta agli altri, che è libertà.
Tutto questo è difficile. Mille ostacoli attraversano il cammino e spesso lo bloccano.
Basta uno sguardo al mondo dei rapporti umani, per constatare l’evidenza di tanti fallimenti dell’amore, un’evidenza che appare perfino chiassosa e inquietante. Siamo fatti per amare e scopriamo quasi di non esserne capaci. Originati dall’amore, ci sembra tanto spesso di non saper suscitare amore.
Perché? Ce lo chiediamo quando la nostalgia di esperienze di amore intense e limpide attraversa la nostra esistenza e colora i nostri sogni. Qualcuno, raccogliendo le parole dalla sua esperienza, suggerisce ragioni e prospettive di questa fatica di amare, tutte, comunque, da verificare in prima persona. Sono la possessività, l’ingratitudine e la tentazione di catturare l’altro le forme che più comunemente paralizzano il cammino dell’amore.
La possessività paralizza l’amore perché impedisce il dono, bloccando il cuore in un avido e illusorio accumulo di ricchezza per sé. L’ingratitudine è l’opposto della riconoscenza gioiosa. Impedisce l’accoglienza dell’altro e impoverisce l’anima, perché dove non c’è gratitudine, il dono stesso è perduto. La cattura è frutto della gelosia, e insieme della paura di perdere l’istante posseduto: in una sorta di sazietà illusoria essa chiude lo sguardo verso gli altri e verso l’avvenire. Come superare queste resistenze? Come divenire capaci di amare oltre ogni possessività, ingratitudine e prigione del cuore? Chi ci renderà capaci di amare?
Rinascere sempre di nuovo nell’amore
Abbiamo cercato parole per dire il nostro amore, quello che ci fa nascere, vivere e sperare. Abbiamo dovuto usare parole amare, come delusione, fallimento, tradimento, incertezza, chiusura, egoismo. Non tutto è così, per fortuna.
La nostra esperienza di amore sa rinascere. Parliamo di fallimento proprio perché sogniamo esperienze diverse. Sogniamo esperienze nuove perché altri, amici vicini o sconosciuti, ci restituiscono fiducia nell’amore e sicurezza nella sua vittoria, nonostante tutto.
Davvero lo scontro tra amore e tradimento mette la nostra esistenza in una condizione di inquietudine, che scopriamo sempre presente e nuova, anche quando ci sembra d’averla superata e risolta. Nel silenzio del nostro cuore inquieto troviamo una domanda che avvolge tutto il mistero del nostro esistere e che si proietta in avanti, anche quando sperimentiamo risposte che sembrano soddisfacenti.
Soprattutto deve diventare veramente nostra la risposta che ognuno di noi darà a questa domanda. Ciascuno è chiamato a esprimerla nella sua storia personale e a dire a se stesso le sue buone ragioni per amare e superare le resistenze ad amare a partire dal proprio vissuto. La solidarietà che ci lega ci spinge però a rompere il silenzio per farci ciascuno proposta agli altri.
Sì: c’è in noi un immenso bisogno di amare e di essere amati. Davvero, “è l’amore che fa esistere” (Maurice Blondel). È l’amore che vince la morte: “Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai!” (Gabriel Marcel). Eugenio Montale esprime intensamente questo bisogno, che è insieme nostalgia, desiderio e attesa, nei versi scritti dopo la morte della moglie, dove è proprio l’assenza della persona amata a far percepire l’importanza dell’amore, che vive al di là di ogni fragilità e interruzione:
Ho sceso, dandoti il braccio,
almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
In questo bisogno di rinascere sempre di nuovo nell’amore
ci sembra riconoscibile una nostalgia: quella di un amore infinito…
Pubblicato da Stroppy alle 20:29 0 commenti
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